Una sentenza del TAR delle Marche apre uno scenario differente riguardo all’erogazione degli aiuti a favore degli imprenditori che hanno subito danni da fauna selvatica.
In sintesi, essendo la fauna selvatica patrimonio indisponibile dello Stato, quest’ultimo è responsabile dei danni arrecati ma non è sostenuto che i risarcimenti debbano coprire integralmente le perdite subite dagli agricoltori. Si tratta di un concetto basato sull’assunto che la fauna sia un patrimonio dell’intera collettività e dunque tutti i cittadini devono sopportare “pro quota” i danni prodotti dagli animali. Secondo la sentenza del TAR, questo si traduce verso i titolari delle aziende agricole in via diretta, che devono cioè “predisporre adeguate misure di prevenzione”, e verso la collettività in via diretta, ossia attraverso il pagamento dei tributi – una parte dei quali viene dallo Stato erogata alle imprese agricole per risarcire i danni che non è stato possibile elidere.
In passato la Corte di Cassazione aveva chiarito che “Pur non escludendolo l’art. 26 [della L. 157/1992] non prevede affatto che il risarcimento debba essere pieno ed integrale, o che quanto meno debba avvenire in misura fissa e percentuale, ed attribuisce invece all’Amministrazione pubblica margini di discrezionalità”. Si discute inoltre sul fatto che impropriamente il legislatore statale abbia impiegato il termine “risarcimento” trattandosi, al contrario, di un mero indennizzo. Gli aiuti di Stato veri e propri sono quelli che hanno effetto incentivante per le aziende; nel caso dei selvatici, i risarcimenti non hanno alcun effetto incentivante, visto che non contribuiscono ad accrescere lo sviluppo aziendale, ma sono funzionali unicamente a riparare i danni causati dalla fauna selvatica. In pratica, il risarcimento mira a ripristinare la situazione precedente al danno, mentre l’indennizzo ha una funzione riparatoria che non è necessariamente legata all’entità del danno. La giurisprudenza quindi ritiene che quello da fauna si tratti di un indennizzo non dissimile dal contributo economico previsto dalla legislazione speciale in favore, ad esempio, delle famiglie che provvedono direttamente ad assistere soggetti non autosufficienti portatori di handicap.
Commenta il direttore Cia Daniele Botti: “Contrastare un orientamento di questo tipo, definito a seguito di numerose sentenze della Corte di Cassazione, non sarà semplice. Occorre concentrare gli sforzi sull’ipotesi di aumento del regime de minimis a cifre compatibili con i danni provocati dalla fauna selvatica”.